Lista dei preferiti →
Scarica testo in formato PDF ↓ Per frettolosi

6.4 Legittimazione: Mediazione culturale per l’inclusione

Similmente alla rivendicazione di rendere accessibile a tutti i ceti della popolazione l’arte finanziata con i tributi erariali, anche il concetto dell’inclusione critica il fatto che le istituzioni dell’alta cultura escludono gran parte della società. Questa parte va avvicinata tramite servizi di mediazione all’offerta d’arte e di cultura esistente e motivata così alla partecipazione culturale. Quest’argomento è meno basato sulla pretesa d’equità fiscale quanto sul principio etico della parità e sul corrispondente proposito di democratizzazione. L’idea dell’inclusione si basa quindi concretamente su gruppi sociali che in virtù della diseguaglianza sociale hanno scarso accesso alla formazione e al benessere o si scostano in altro modo dalle abitudini relative alle esigenze e alle attività della società maggioritaria, ad esempio a causa di disabilità. La mediazione culturale è qui vista come una possibilità di compensare la distribuzione ineguale delle risorse mediante l’abilitazione alla partecipazione culturale. Ad esempio, una comunicazione del progetto tedesco  Danza a scuola indica quali svantaggi dovuti alla disuguaglianza sociale in bambini e adolescenti vanno contrastati con un’occupazione attiva con la danza: «La danza è non verbale e proficua per l’integrazione di bambini di origini diverse […] La danza favorisce la formazione della personalità e sostiene lo sviluppo di identità mediante la sperimentazione dell’‹Io-corpo›. La danza come forma artistica di comunicazione ed espressione favorisce: la differenziazione dei movimenti, la qualità gestuale, la percezione e la consapevolezza del corpo, l’immaginazione, la fantasia motoria, la creatività e l’azione creativa propria, lo sviluppo della personalità, le competenze sociali, il lavoro interdisciplinare».

L’aspetto problematico dell’idea di inclusione è il presupposto della cultura e delle istituzioni come grandezza invariabile in cui vanno integrati gli esclusi. Raramente si comprende nella riflessione e si considera nel lavoro di cambiamento il contesto sociale che è all’origine della disparità di trattamento. Inoltre, la definizione di chi necessita di inclusione e della norma in cui si tratta di includere è unilaterale. Questa prospettiva può essere considerata  paternalista, quindi buonista e tutelante. Sussiste quindi il pericolo che le persone vengano determinate in base ai loro presunti deficit e in funzione di questi «livellate» ( Dannenbeck, Dorrance 2009).